Nel 2010 ho fondato l’Associazione Culturale “Yoga Sanremo” vedi https://yogasanremo.blogspot.com, organizzando fino al 2017 un totale di 462 stage dedicati ai più svariati argomenti yogici, filosofici, meditativi e spirituali. Oggi guido la Top experience “Wine AND Meditation” vedi https://wineandmeditation.blogspot.com e promuovo seminari sull'Esicasmo, sullo "Yoga Cristiano", sulla "Preghiera del cuore" e sulla "Meditazione contemplativa degli antichi Padri del Deserto". Luca D’Amore Mobile (anche WhatsApp ) 3408007000 E-Mail yogasanremo@libero.it

Yoga per i cristiani


Lo Yoga è una disciplina conosciuta principalmente come metodo antistress.
Si è portati così a trascurare le potenzialità dell’incontro, tra la più conosciuta filosofia orientale e la religione cattolica.
Il cristiano può accostarvisi in modo davvero proficuo e la meditazione Yoga, se intesa e praticata nel suo significato più elevato d’autentica via di ricerca spirituale, può diventare un mezzo per ravvivare la propria fede.
Da oggi, questa mia significativa esperienza di Yoga cristiano, intendo offrirla anche a te.
Se intendi partecipare ai miei incontri sulla “preghiera del cuore”, chiamami al numero 340-8007000.



INCONTRO TRA ORIENTE E OCCIDENTE
Non era certo un metodo antistress quello che incontrarono il sacerdote francese Jules Monchanin (1895-1957) e i monaci benedettini Henri Le Saux (francese, 1910-1973) e Bede Griffiths (inglese, 1906-1993), nel loro ministero d'inculturazione del Vangelo in terra indiana agli inizi del Novecento.
I primi due, nel 1950, fondarono nel Tamil Nadu il Saccidananda Ashram (Eremo della Trinità), a Shantivanam (Foresta della Pace). Alla morte di Monchanin, Le Saux si trasferì nel nord dell'India, sulle rive del Gange, affidando l'ashram alla guida di Bede Griffiths, che trasformò l'eremo in una piccola comunità monastica di rito cattolico indiano. Bede Griffiths affiliò poi la comunità all'Ordine Camaldolese e la fece diventare un centro di spiritualità, dove persone di diverse tradizioni religiose potevano unirsi in un clima di preghiera, mettendo in pratica quel mirabile Matrimonio tra Oriente e Occidente, alla base della sua visione.
I padri dell’Eremo di Camaldoli, sono ancora oggi impegnati attivamente nel dialogo interreligioso, in linea con l’enciclica Ecclesiam Suam di papa Paolo VI, ma l'unico documento ufficiale della Chiesa, sul valore che possono avere per i cristiani i metodi orientali di meditazione è tuttora l'Orationis formas del 1989, firmata dall'allora cardinale Ratzinger: un esercizio di grande equilibrio tra il «desiderio d’imparare a pregare» e il pericolo di «autosufficienza» delle tecniche orientali, creatrici di «sensazioni di quiete», che potrebbero far dimenticare che la preghiera è pur sempre dialogo con un Altro, ma Ratzinger riconosce anche «che autentiche pratiche di meditazione provenienti dall’Oriente cristiano e dalle grandi religioni non cristiane… possono costituire un mezzo adatto per aiutare l’orante a stare davanti a Dio».

L’ESICASMO, LO “YOGA PER I CRISTIANI”
Per il cristiano il corpo umano è stato creato da Dio e dotato di una sua legge naturale.
Tuttavia, l'Occidente nel tempo ha smarrito un'adeguata capacità di valorizzare il corpo quale tempio dello Spirito. Esso va invece curato e custodito nel rispetto della legge divina. Va da sé, allora, che un cristiano può accostarsi allo Yoga in modo intelligente e utile alla propria vita spirituale.
Tra le forme di preghiera sempre più diffuse anche in ambito cattolico, c'è la pratica dell'esicasmo, un’antichissima tradizione spirituale cristiana la cui tecnica si avvicina per molti aspetti allo Yoga, basti pensare alla recita del Santo Rosario ed alle sue ripetizioni che somigliano ai mantra indù. L'esicasmo si è così guadagnato la definizione di «Yoga cristiano». Ha la peculiarità di unificare e integrare il respiro con il ritmo cardiaco e l'attività della mente, nella recitazione ritmata di una preghiera.

LA PREGHIERA DEL CUORE
L’esicasmo è un sistema di spiritualità che ha alla base l’esychía, parola greca che significa «pace interiore, silenzio».
Le sue origini sono antichissime, anche se generalmente viene associato ai mistici bizantini del XIV secolo e al Monte Athos. Questa tradizione spirituale inizia nel IV secolo d.C. con i primi monaci cristiani, i cosiddetti Padri del deserto e prosegue ininterrotta fino ai nostri giorni. Nel cristianesimo l’esychía significava soprattutto una vita di preghiera e di solitudine: i monaci si ritiravano nelle zone più remote del deserto egiziano e ricercavano la comunione con Dio attraverso una rigida pratica ascetica e meditativa. Già allora grande importanza era data alla ripetizione incessante, verbale o silenziosa, della cosiddetta preghiera mantrica del cuore: «Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me» o «Kyrie eleison» nella sua forma più breve, quale mezzo per raggiungere l’esychía, la tranquillità dell’anima.
S. Cassiano (V sec. d.C.) scrive a proposito di questa preghiera continua: «è un segreto che c’è stato insegnato dai pochi sopravvissuti fra i Padri dei primi tempi, e che noi affidiamo a quel piccolo numero d’anime veramente assetate di conoscerlo. Al fine dunque di tenere sempre il pensiero fisso in Dio, dovrete proporvi continuamente questa formula di pietà». A partire dal VI secolo d.C. la tradizione esicastica si diffonde nei monasteri del Sinai e infine sul Monte Athos.
L’esicasmo si diffonde poi anche fuori dei monasteri grazie a due opere: la Filocalia, importante collezione d’antichi scritti cristiani, che è pubblicata nel 1782 da Nicodemo Aghiorita e da Macario di Corinto, e i Racconti di un pellegrino russo, pubblicato nel 1884 da autore anonimo.

IL METODO D’ORAZIONE ESICASTA
La versione che oggi è più diffusa, è probabilmente il metodo d’orazione esicastica secondo l’insegnamento di Padre Serafino.
Si tratta di un racconto apparentemente ingenuo e semplice, che in realtà illustra in maniera precisa e accurata le caratteristiche di questa pratica meditativa. Padre Serafino accoglie nel suo eremitaggio di S. Panteleimon (Monte Athos) un giovane filosofo francese, che desidera essere iniziato al «metodo dell’orazione esicastica».
Per prima cosa gli viene insegnato a «meditare come una montagna», che è il sedersi a terra immobile con le gambe incrociate, alla ricerca di stabilità e di presenza. Il primo consiglio da darsi a chi vuole meditare non è d’ordine spirituale, ma fisico: siediti. Il giovane impara a sentirsi come una montagna, «sapeva prendere tempo, accogliere le stagioni, mantenersi tranquillo e silenzioso» e anche il ritmo dei suoi pensieri si modifica: «Aveva imparato a “vedere” senza giudicare, come se avesse dato a tutto ciò che cresce sulla montagna il “diritto di esistere”».
Poi gli viene insegnato a «meditare come un papavero», ad orientare la propria meditazione verso la luce, raddrizzando la colonna vertebrale: «Se osservi bene il papavero, esso t’insegnerà non soltanto la dirittura dello stelo, ma anche una certa flessibilità sotto le ispirazioni del vento e poi anche una certa umiltà». Dalla montagna aveva imparato il senso dell’eternità, il papavero gli indicava la fragilità: «Meditare è conoscere l’Eterno nella fugacità dell’istante, un istante diritto, ben orientato».
L’insegnamento successivo è il «meditare come l’oceano»: il giovane aveva già passato lunghe ore in riva all’Atlantico e conosceva l’arte di accordare il proprio respiro al grande respiro delle onde, ma adesso aveva acquisito radicamento e stabilità e si sentiva come una goccia d’acqua che conservava la propria identità e tuttavia sapeva di «essere una» con l’oceano: «Imparò che meditare è respirare profondamente, è abbandonare al suo corso il flusso e riflusso del respiro» e «apprese ugualmente che, se vi erano delle onde in superficie, il fondo dell’oceano rimaneva tranquillo. I pensieri vanno e vengono come schiuma, ma il fondo dell’essere rimane immobile».
Gli viene poi insegnato a «meditare come un uccello»: «Meditare è mormorare come la tortora, lasciar salire in te quel canto che viene dal cuore… Meditare è respirare cantando». Padre Serafino gli propone di ripetere, mormorare, canticchiare ciò che è nel cuore di tutti i monaci dell’Athos: Kyrie eleison, Kyrie eleison, e aggiunge: «Quando i pensieri ti tormentano, ritorna dolcemente a quell’invocazione, respira più profondamente, tieniti diritto e immobile e incomincerai a conoscere un inizio d’esychía». Quest’invocazione lo conduce gradualmente verso un profondo rispetto nei confronti di tutto ciò che esiste e per ciò che è nascosto e si trova alla radice d’ogni esistenza.
Padre Serafino gli insegna allora «la meditazione d’Abramo», con la quale «noi entriamo in una nuova e più alta coscienza che si chiama fede, ossia l’adesione dell’intelligenza e del cuore a quel “Tu” che è, che traspare nella molteplice intimità di tutti gli esseri». Il giovane viene iniziato ad «un risveglio del cuore»: meditare come Abramo significa infatti «aderire con la fede a Colui che trascende l’universo, è praticare l’ospitalità, è intercedere per la salvezza di tutti gli uomini, è dimenticare se stessi…».
L’ultimo insegnamento di Padre Serafino è «meditare come Gesù»: «Meditare come Gesù è ricapitolare tutte le forme di meditazione che ti ho insegnato fino ad ora. Gesù è l’uomo cosmico. Sapeva meditare come la montagna, come il papavero, come l’oceano, come la tortora. Sapeva anche meditare come Abramo».

LE AFFINITA’ TRA LA MEDITAZIONE ESICASTA E LO YOGA
A conclusione di questa breve esposizione, mi sembra interessante considerare le affinità che esistono tra la meditazione esicastica e quella Yoga, non solo nei mezzi utilizzati, ma anche nello spirito stesso che le anima e le sostiene.La forte somiglianza tra le tecniche psico-fisiche dell’esicasmo e quelle dello Yoga è riconosciuta da Mircea Eliade, che arriva a stabilire l’esistenza di un problema vero e proprio; gli studiosi sono infatti incerti se proporre un’influenza diretta dell’antico Oriente sull’esicasmo o ipotizzare una riscoperta spontanea di preliminari ascetici e modi di preghiera. Le analogie sono evidenti.
Il ritirarsi seduti, in una cella tranquilla, come raccomandano i monaci del Monte Athos, richiama facilmente il celebre versetto della Hathayoga-pradîpikâ: «Chi si accinge a praticare lo Yoga deve porsi al centro di una piccola cella solitaria, libera da rocce, acqua e fuoco».
L’attenzione al controllo del respiro e ai suoi effetti sul piano mentale ci riporta al prânâyâma, mentre la ripetizione del Nome corrisponde alla ripetizione del mantra nella tradizione orientale.
Il tema del cuore, fondamentale nell’esicasmo, è ben presente anche nella fisiologia mistica indiana, quale anâhata-chakra, il centro psico-fisico, il cui risveglio è caratterizzato da un sentimento d’amore universale per tutti gli esseri.
Su un piano meno tecnico possiamo infine notare come entrambe le tradizioni spirituali si presentano come vie di salvezza per liberare l’uomo dalla sofferenza: guidano il praticante attraverso un cammino ascetico graduale e articolato, che utilizza il corpo come strumento di trasformazione interiore, e permette di raggiungere l’unione con il Divino, l’estasi.

LO YOGA PER RAVVIVARE LA PROPRIA FEDE
Se si mettono da parte dogmatismi e diffidenze, e se si considera lo Yoga nella sua più vera e alta essenza d'autentica via di ricerca spirituale, ci si rende conto che la meditazione può essere praticata da appartenenti a qualsiasi credo religioso.
E non è raro, anche e proprio in ambito cattolico, il caso di chi ha trovato nello Yoga un mezzo per riscoprire e ravvivare la propria fede.
D’altronde gli stessi grandi maestri orientali , tra cui Yogananda e Gandhi, esortano a non lasciare la propria religione d’appartenenza.