Meditare su Abramo significa
entrare nel suo sentire, comprendere le motivazioni delle sue scelte,
condividere la sua risposta alla chiamata di Dio. E da lui imparare.
Imparare soprattutto che
l’essere umano è il suo cuore: come è il suo cuore, così è l’essere umano. Il
cuore di Abramo.
Il cuore in cui abita la fede
di un padre che arriva ad anteporre all’amore per suo figlio, “il suo unico
figlio”, il figlio tanto desiderato e atteso, l’obbedienza a Dio che prima
glielo ha donato e poi gliene ha chiesto il sacrificio (Genesi 22, 1-19).
Se ci si limita ad acquisire
solo una stabilità perfettamente centrata su di sé e in sé, e non ci si offre
alla disponibilità, alla carità, all’amore, si corre il rischio di divenire
pietra inerte e immobile. Di negare l’essenza dell’umanità. E la dimensione
della relazionalità, che a questa umanità appartiene. Perché nell’essere umano,
al contrario che nella pietra, c’è un’energia vitale dinamica che continuamente
ci mette/ci tiene in comunicazione fondamentale con l’Altro/altro, l’Altro da
cui quella forza vitale viene a/in noi, vivificandoci, l’Altro che ci fa
continuamente dono della vita, e l’altro che con noi condivide questa energia,
respirando nella/dalla stessa Fonte.
Il “risveglio del cuore” cui la
meditazione su Abramo ci esorta è invito a metterci e a stare al cospetto,
contemporaneamente, di noi stessi, del centro più profondo di noi stessi, e di
quell’Altro/altro che è inscindibile da noi. Senza il quale non siamo e non
possiamo essere. Addentrandoci in noi, infatti, scopriamo che il Sé che vive al
centro di noi, della nostra grotta interiore, è anche l’Altro che ci fonda e ci
dà vita. E che abita il centro di ogni altro. Fondamento della vita di tutti
gli esseri presenti in questo universo. Vita alla base di ogni vita.
Qui l’unificazione è completa.
Mi scopro fondato da Lui. Relazionato inscindibilmente con lui. Con lui uno.
“Una cosa sola”. E scopro che egli fonda ogni altro io. E che, dunque, in quel
fondamento io e ogni altro siamo uno. “Una cosa sola”.
Nel cuore l’Altro è via
all’altro, e viceversa.
Nell’amore per ciò/chi amiamo,
c’è la traccia del nostro amare Dio. Visto che egli è al cuore di ciò/chi
amiamo. Rivestito della forma di ciò/chi amiamo. E dunque è lui che amiamo nei
nostri amori.
Svuotarsi di sé, perché ci si
sa strettamente relazionati agli altri. Perché il sé non è il piccolo sé, ma
comprende tutti gli altri. Non è senza di loro. E’ in continua condizione di
“inter-essere”.
E’ questa la “perfezione”
dell’amore. Dell’amore di Dio. Che dovrebbe portarci ad “amare come egli ci ha
amato” (Giovanni 13, 34).
E diventeremmo ciò che siamo.
O, meglio, ciò che siamo nella possibilità di essere. Luce del mondo (Matteo 5,
4). Sale della terra (Matteo 5, 13).