Meditare come Gesù è
ricapitolare tutte le forme di meditazione che ti ho insegnato fino ad ora.
Gesù è l’uomo cosmico. Sapeva meditare come la montagna, come il papavero, come
l’oceano, come la tortora. Sapeva anche meditare come Abramo.
Prima l’esempio di Gesù e poi
la voce dello Spirito dentro di noi ci dicono la nostra identità di figli. Ci
dicono qual è la natura della nostra relazione con Dio. Ci permettono di
chiamarlo “Abbà, Padre”.
Con queste parole possiamo
pregare, stare al cospetto di, rivolgerci a.
“Abbà, Padre”.
Ecco la preghiera da abbinare
al respiro. L’invocazione. La parola. Il nome.
La forma della preghiera con
cui rivolgersi al Dio cristiano. Più che la “preghiera a Gesù”, la “preghiera
di Gesù”. Non pregare lui, ma pregare con la sua stessa preghiera. Usando le
sue parole. Le parole dell’unico che veramente “conosce il Padre” e ce ne sa
rivelare il volto. Anziché invocare Gesù, invocare colui che egli stesso
invoca. Farsi portare da lui verso il Padre.
Perché il figlio da sé non fa
nulla. Dice le parole del Padre. Compie le opere del Padre. Ha in sé la vita
che il Padre gli ha dato. E dal Padre trae la capacità di trasmetterla ad
altri. Non è figura autonoma, su cui fermare la nostra devozione. E’ traccia.
Mediatore. Continuo rimando a. Che non vuole fermare i nostri sguardi su di sé,
ma li raccoglie per slanciarli verso il Padre e immergerli in lui.
Per questo non trattiene nulla
per sé. Né i suoi cari, né i suoi discepoli, né i suoi amici. Tutto lascia per
obbedire al disegno del Padre. Perfino la vita. Riconsegnandola, alla fine, a
colui dal quale l’ha avuta.
Era verso mezzogiorno, quando
il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del
pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù gridando a gran voce
disse: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo, spirò
(Luca 23, 44-46).
Non cedendo alla tentazione di
trattenere la propria vita, di conservarla per sé. Sfidando chi cercava nel suo
eventuale rifiuto della morte un segno della sua potenza divina. Chi sul
Golgota gli gridava: “Salva te stesso! Se tu sei il Figlio di Dio, scendi dalla
croce!” (Luca 27, 40). Senza comprendere che la sua figliolanza si esprimeva
non nel conservare la vita, ma nel riconsegnarla a colui che gliel’aveva data,
Al Padre che lo aveva generato.
Consapevole di non avere la
vita in sé, ma di averla perché donatagli dal Padre. Consapevole di essere in
ogni cosa relazionato al Padre. Da lui. In lui. Per lui. E dunque, per questo,
obbediente. Fino alla fine fedele nella sua missione di rivelare l’amore del
Padre per gli esseri umani. Nell’abbandono totale del suo progetto.
E diceva: “Abbà, Padre! Tutto è
possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma
ciò che vuoi tu” (Marco 14, 36).