Nel 2010 ho fondato l’Associazione Culturale “Yoga Sanremo” vedi https://yogasanremo.blogspot.com, organizzando fino al 2017 un totale di 462 stage dedicati ai più svariati argomenti yogici, filosofici, meditativi e spirituali. Oggi guido la Top experience “Wine AND Meditation” vedi https://wineandmeditation.blogspot.com e promuovo seminari sull'Esicasmo, sullo "Yoga Cristiano", sulla "Preghiera del cuore" e sulla "Meditazione contemplativa degli antichi Padri del Deserto". Luca D’Amore Mobile (anche WhatsApp ) 3408007000 E-Mail yogasanremo@libero.it

Stage GRATUITO "L’ULTIMO INSEGNAMENTO DI PADRE SERAFINO: E ADESSO VA’…"



“E adesso va’…”. Sono le parole che ogni maestro dovrebbe alla fine poter dire. E che ogni discepolo dovrebbe essere in grado di sentire e comprendere. Il coronamento della relazione. L’ultimo fondamentale insegnamento, senza il quale tutto ciò che è stato detto in precedenza è incompleto. Lasciare il monte.
Lasciare ciò a cui abbiamo avuto la tentazione di attribuire il carattere di meta.

Le ascesi, le iniziazioni, i cammini di perfezione sono percorsi trasformanti, capaci di mutare la qualità della nostra consapevolezza e di raccogliere e direzionare le nostre energie verso un punto che altrimenti sarebbe irraggiungibile. Ma una volta raggiunto quel punto, è d’obbligo non considerarlo un punto d’arrivo. Al contrario, occorre rendersi conto che da lì il percorso prosegue. Affrontare la discesa. Ridiscendere dal monte.

Padre Serafino, quando vede che il suo discepolo ha appreso tutti gli elementi del suo insegnamento e ha raggiunto un alto grado di perfezione nell’arte della meditazione e della preghiera, lo esorta a lasciare il monte e a tornare a casa.
Tutto ciò che egli poteva imparare sulla vetta, lo ha imparato. Non andrà oltre. E dunque, se vuole ancora, davvero, proseguire il suo cammino, deve abbracciare il movimento contrario a quello dell’ascesa, che finora ha seguito. Volgere le spalle alla montagna e tornare al punto di partenza, là dove il suo viaggio di ricerca è cominciato.

Come è possibile questo? Dopo tanto cammino, dopo tanto lavoro, dopo tanti raggiungimenti interiori, come si può ora semplicemente “tornare indietro”? Non sarà un regredire? E tutti i raggiungimenti ottenuti non verranno vanificati da questo percorso a ritroso? La vetta del cammino non coincide forse con la vetta del monte? E ora che è stata raggiunta, lo sforzo non dovrà essere quello di “rimanervi”, saldamente ancorato, e di cercare di non ricadere in basso?

Questa la principale tentazione del discepolo. Di ogni discepolo. E in particolare, di ogni “bravo” discepolo. Troppo zelante, troppo perfetto, troppo desideroso di vetta. Troppo. E in questo troppo c’è l’ostacolo.
La vetta non coincide semplicisticamente con la cima, ma sta a valle, là dove il cammino è cominciato, là dove si era prima che il cammino iniziasse. L’ascesa, se vuole davvero raggiungere il suo scopo, deve essere completata dalla discesa. Il viaggio deve avere un “ritorno”.
Non basta salire.

Così, il discepolo di Padre Serafino, una volta tornato nella sua città, inizialmente restò ancorato agli insegnamenti appresi sull’Athos e cercò di mantenerli nella forma in cui li aveva imparati. Quando era agitato, meditava come una montagna; quando si sentiva invaso dalla tristezza, respirava come l’oceano; quando il suo sguardo scorgeva la sofferenza degli uomini, ricordava il cuore compassionevole di Abramo… “Esteriormente era un uomo come tutti gli altri. Non cercava d’avere l’aria di un “santo”.
E pian piano raggiunse davvero la vetta, lì, nel trambusto e nella confusione della città.