“Non dimenticare la montagna”
dice Padre Serafino, ma impara anche ad essere papavero. Ovvero:
verticalizzati, apri e proietta il tuo essere dalla terra al cielo; mantieni il
radicamento, ma slanciati verso l’alto. Lasciati attrarre. Diventa organismo
aperto e dinamico, freccia che punta verso un Invisibile che è al di sopra di
te. E che ti chiama a sé.
Obbedisci all’attrazione che ti
viene dall’alto.
E’ la tensione della preghiera,
lo sguardo che si innalza verso il trascendente: la preghiera come “elevazione
dell’intelletto a Dio”.
Lo sguardo, così direzionato,
apre una via, ci dispone allo slancio verso l’Oltre-noi, si fa via aperta,
bandendo qualsiasi tipo di sconfinamento o di ripiegamento su noi stessi. Ci
scopriamo aperti, slanciati, chiamati, attratti, oltrepassati dal nostro stesso
desiderio.
E’ qui che si apre il rapporto
col Tu divino.
Quando l’io piccolo e
autoedificato non basta più: lo si avverte angusto, stretto, piccolo. E
contemporaneamente si avverte che porta in sé la traccia di un Altro e di un
Oltre.
La verticalità della colonna
vertebrale, che nella posizione seduta è linea portante del corpo, prolungata
verso l’alto dalla testa, diviene axis mundi, merudanda umano che, come l’asse
centrale (danda) del monte Meru per gli indiani, con la base poggia stabilmente
sulla terra e con la cima arriva a toccare il cielo. Merudanda che dà la
possibilità di ascendere e che, se percorso, permette realmente di andare dal
basso verso l’alto. Vero e proprio sentiero evolutivo nascosto e racchiuso
all’interno dell’umano, lungo il quale si incontrano tutte le possibilità energetiche
dell’essere, dagli istinti più grossolani agli aneliti più spirituali. Lungo
l’asse. I centri energetici fondamentali dell’essere umano, i chakra, serbatoi
di potenzialità.
La verticalità non ha niente a
che fare con la rigidità. La struttura stessa della colonna vertebrale, con la
sua flessibilità, lo insegna: l’asse del monte ha anche la natura dello stelo
di un papavero. Si orienta verso la luce, verso il sole, verso il cielo, ma nel
farlo, è docile e flessibile, perché sa stare in relazione col soffio del
vento.
E’ anche un insegnamento
sull’eternità, quello che il papavero impartisce al discepolo di Padre
Serafino. Ma non su un’eternità identificabile col tempo lungo della durata
infinita, bensì sull’eternità coglibile nell’adesso, sul senza tempo di ogni
attimo presente. Vivere fuori dalle programmazioni, nella pura accoglienza
dell’attimo che ci viene dato. Forma parziale aperta a cogliere la pienezza
della vita.